Un'inchiesta in 7 puntate
7ª parte
Le teorie del tacchino lo salveranno
da chi sta per tirargli il collo?
La matematica applicata all’economia ci ha insegnato molto. Ma resta valido il principio per cui l’inesistenza di un fenomeno è indimostrabile; casomai, una sua unica manifestazione dimostrerebbe il contrario. Ora, pensiamo alle ultime grandi crisi, ed ecco spuntare il bisogno di una riflessione che restituisca alla persona dignità e centralità
L’economia è una partita di scacchi o la piena del Nilo? Se gestire un’impresa equivale a muovere una torre sullo scacchiere, allora una semplice legge di probabilità sarà in grado di predire le perdite di una congiuntura economica, così come le medesime formule descrivono l’orbita di un elettrone intorno al suo nucleo.

Se, invece, la crisi si abbatte su un sistema economico con la forza e l’imprevedibilità di una piena del Nilo, allora serviranno modelli di calcolo più avanzati e, ancor di più, la consapevolezza che l’agire economico di miliardi di esseri umani include sempre la possibilità di un imprevisto. Di questo elemento insondabile, tanti hanno scritto. Lo ha fatto Omero, narrando i ribaltamenti sotto le mura di Troia o le astuzie di Ulisse. Ne ha scritto Bertrand Russell, filosofo e matematico del ‘900.

Russel, ragionando sulla possibilità di costruire teorie esaustive sul futuro, in base all’osservazione del passato, usa un’efficace analogia: immaginiamo che un tacchino voglia elaborare una spiegazione scientifica del mondo a partire della sua esperienza nella fattoria. Il primo giorno è nutrito alle nove in punto ma, volendo impiegare un metodo rigoroso (Russell lo definisce un tacchino induttivista), decide di non saltare a conclusioni affrettate. Anche il giorno dopo e quelli successivi è sempre nutrito alle nove in punto, sempre alla stessa ora, che faccia caldo o freddo, che si tratti di giorno festivo o feriale.

A quel punto, giunto alla Vigilia di Natale, il tacchino teorizza con certezza scientifica: “Sono e sarò sempre nutrito alle nove del mattino”. Purtroppo per lui, quel giorno non gli sarà servito alcun pasto, ma gli sarà tirato il collo. Cosa possiamo dunque affermare sul futuro?

L’ex operatore di mercato e saggista Nassim Taleb prova a rispondere con un’altra immagine. Fin dall’antichità era in uso paragonare tutto ciò che fosse talmente raro da essere ritenuto impossibile a un cigno nero. L’espressione funzionò fino al XVII secolo, quando nell’Australia occidentale un gruppo di esploratori olandesi si imbatté, per la prima volta, in una specie di cigno sconosciuta, dal piumaggio nero. Da allora, l’espressione ha assunto un nuovo significato: innumerevoli osservazioni attraverso i secoli non sono sufficienti per affermare che qualcosa (un cigno nero) sia impossibile, mentre è sufficiente un solo avvistamento per affermare il contrario.

Nel 1998, la Federazione Russa avrebbe potuto stampare nuovi rubli, per onorare le proprie obbligazioni finanziarie. Ma preferì dichiararsi insolvente, e fece default. Si manifestò, quindi, il cigno nero che, tra le altre cose, portò alla bancarotta (4,5 miliardi di dollari di perdite) il fondo di investimento di due Nobel per l’Economia, Robert Merton e Myron Scholes. Costoro, anni prima, ottennero il riconoscimento per aver sviluppato, guarda caso, un modello matematico che intendeva descrivere il comportamento dei mercati. Il costrutto di sofisticate equazioni si basava sulla stessa ipotesi formulata, un secolo prima, da Louis Bachelier: il corso borsistico di un’azione funziona come la molecola di un fluido. Come tale, il suo valore può essere stimato a priori in ogni istante, tramite leggi di probabilità.

Per quanto la crisi segni la fine del fondo Long-Term Capital Management, le teorie dei fondatori si diffonderanno negli uffici rischi di quelle banche chiamate, dalla Fed, in soccorso dei mercati. Pochi anni dopo, mentre a Basilea si discute un accordo internazionale per stabilire nuovi requisiti patrimoniali, le interazioni tra grandi banche, studi di consulenza e supervisori saranno sintetizzate nella pubblicazione di Michael Gordy, data alle stampe agli inizi di ottobre del 2002. E a questo punto l’indagine si conclude dove era cominciata.

Dove si cela il rischio di una prossima crisi? Chi può prevedere l’acuirsi dello spread o una pandemia planetaria? Nel 20° secolo, il metodo matematico applicato all’economia ci ha insegnato molto sul comportamento dei mercati, sulla volatilità e sulle correlazioni a lungo termine che, unendo valute, tassi di interesse e commercio globale, sembrano determinare movimenti di fondo tanto imprevedibili nelle loro manifestazioni quanto ineluttabili.

La matematica, inoltre, attraverso scoperte e disfatte, ha svelato anche qualcosa su di noi: esiste, irriducibile, una dimensione umana insondabile, che sfugge ostinata all’inquadramento in qualsiasi forma di prevedibilità. Imprevisti, incoerenza, gesti irrazionali o nobili slanci ideali; l’economia, come ogni attività umana, si declina nel pensiero e nelle azioni dell’essere umano. In questo groviglio di intenzioni, in cui si disperde la marea degli universi possibili, l’uomo si destreggia con l’ingegno di Ulisse e la determinazione a spingere la conoscenza un passo più avanti.

Tra le ipotesi avanzate dalla scienza, a fondamento dei modelli matematici, la più indispensabile è la condizione che accomuna gli scienziati menzionati in questa breve indagine: l’esser liberi di intraprendere e ricercare, in quella miscela di riconoscimento individuale e progresso comune che solo i sistemi economici attenti alla dignità umana hanno saputo garantire. Solo così, alla prossima crisi, anche se i modelli non riuscissero a prevedere la catastrofe, resteranno energie per affrontarla.
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