Negli anni ’50, Benoit Mandelbrot è un dottorando della Sorbona affascinato dalle possibili applicazioni della matematica nel quotidiano. Nato in Polonia da una famiglia di ebrei lituani, giunge in Francia all’età di 11 anni e, dopo essere scampato all’occupazione nazista, dedica la sua vita alla ricerca universitaria. Una questione, in particolare, lo incuriosisce: perché alcune parole sono tanto ricorrenti?
Le implicazioni dell’indagine sono notevoli, perché includerebbero il linguaggio tra i fenomeni regolati da un ordine misterioso: un numero esiguo di elementi rappresenta la stragrande maggioranza di un insieme. Il fenomeno non è sconosciuto all’economia. Già Pareto, a fine ‘800, notava che la distribuzione dei redditi (allora come oggi) era segnata da una forte concentrazione. Mandelbrot sposta l’indagine dalla constatazione del fenomeno alle sue cause, cercando le correlazioni nascoste che, nel caso del linguaggio, rendono ricorrenti quei termini impiegati una volta e, poi, sempre più spesso.
Si avventura, pertanto, tra le distribuzioni statistiche, quando suo zio (il matematico Szolem Mandelbrojt) e il suo professore (lo statistico Paul Lévy, allievo di Poincaré) gli parlano della teoria di un certo Louis Bachelier, finito da anni in oblio.
Mandelbrot, nel frattempo, trova lavoro al centro di ricerca IBM, dove può finalizzare la sua ricerca su figure geometriche complesse. Il lavoro si basa sull’osservazione delle forme che un particolare, ripetuto innumerevoli volte, restituisce su un piano. È l’inizio della geometria frattale, oggi applicata nelle più moderne tecnologie informatiche e in svariati campi.
Una formula frattale esprime come le forme effettive della realtà si sviluppino secondo le linee di una geometria non-euclidea: trasforma un triangolo nella rappresentazione realistica di un rilievo montuoso, spiega l’evoluzione a spirale di un broccolo, descrive le nuvole nel cielo. Si direbbe che tutto, in natura, proceda secondo un disegno semplice che ripete se stesso in scala crescente. Anche le strutture sintattiche sembrano obbedire alla ricorsività di queste funzioni e persino il susseguirsi di piogge e schiarite. E così, per autosomiglianza, il tutto assume la medesima forma del particolare.
E, a proposito di piogge, Mandelbrot si concentra, negli anni ’60, su un progetto, all’epoca, di grande attualità: la diga di Assuan; quanto dovrà essere alta per governare, per la prima volta nella storia, le piene del Nilo? La domanda e il progetto sono legati a una questione ancestrale, radicata nell’immaginario collettivo: il Nilo è il fiume indomabile nella sua forza fertile e, come tale, era venerato dagli egizi. Le sue piene sono improvvise, inarrestabili e il volume delle piogge varia considerevolmente ogni anno. Dati alla mano, Mandelbrot elabora un modello che prevede gli effetti anche degli eventi più estremi. Ma il suo piano non sarà considerato dalle autorità egiziane che, a un progetto misurato, prediligono una costruzione monumentale, degna dei faraoni.
Immaginate, a questo punto, lo stupore di Mandelbrot, quando scorgerà il proprio grafico delle piogge sulla scrivania di un professore con cui stava discutendo. E no, spiegherà il professore. Non si trattava delle piene del Nilo, ma del prezzo del cotone alla borsa di Chicago. (continua)