Parigi, primo ‘900. Sulle sponde della Senna, nel quartiere latino dove ha sede la Sorbona, uno studente trentenne si appresta a discutere la tesi di dottorato. Il suo nome è Louis Bachelier e, alla conoscenza della fisica, unisce dimestichezza negli affari. Orfano in adolescenza, continua l’attività di famiglia, commerciando vini al porto di Le Havre, prima di riprendere gli studi e dedicarsi al suo interesse principale: la relazione misteriosa e profonda che unisce matematica e caso.
In quegli anni, Parigi è la capitale in fermento della terza Repubblica e, nei caffè degli Champs Elysées, avventurieri, perdigiorno, dame di compagnia, nobili debosciati, artisti e rivoluzionari fuori tempo siedono ai tavolini per discutere di nuovi mondi e strampalate teorie. Una di queste finisce sugli annali della Sorbona, per mano del giovane Bachelier: La Teoria della speculazione, tesiche discute con uno dei più straordinari matematici della modernità, Henri Poincaré.
La dissertazione, fuori dagli schemi della fisica convenzionale, lascia Poincaré ammirato. Anni dopo, menzionandola, ne innesca il passaparola tra gli studenti interessati ad ampliare i confini del sapere matematico. Nel tempo, il vago ricordo di una fantomatica teoria sulla speculazione, percorrendo i corridoi della Sorbona, giocherà un ruolo fondamentale in questa storia.
Bachelier elabora una teoria matematica sulla finanza, idea, per allora, insolita. A Parigi, è incuriosito da uno strano fenomeno: il corso di ogni azione sembra aggirarsi regolarmente intorno allo stesso prezzo. È folgorato da un’intuizione: e se, in finanza, ogni azione possedesse un prezzo medio? La conferma avrebbe notevoli implicazioni. Sfogliando il taccuino dove annota le quotazioni, Louis Bachelier riconosce movimenti di fondo che, sul lungo termine, e malgrado la volatilità giornaliera, portano sistematicamente il corso dell’azione su livelli già osservati in passato. Come un pallone gonfio d’aria che, spinto sott’acqua, riaffiora in superficie.
Sono anni di grandi ricerche nei campi della chimica e dell’astronomia; le scoperte orientano la fisica verso l’universo (l’infinito) e verso le particelle elementari (l’infinitesimale). Tuttavia, i limiti tecnologici dell’epoca obbligano a lavorare sulla base di poche osservazioni, con strumenti, spesso, rudimentali. Per studiare la traiettoria di un elettrone, la composizione di una galassia o il percorso di una molecola in un fluido, si elaborano modelli di calcolo per stimare valori non osservabili direttamente.
Nella mente di Bachelier appare un’altra immagine, a lui familiare. Nelle oscillazioni di un titolo quotato, si scorgono i movimenti delle particelle che sciamano intorno a un nucleo: la volatilità quotidiana di un’azione è repentina e confusa. Ma si diffonde lungo una curva che, come l’orbita di un elettrone, torna ciclicamente su valori conosciuti. Osservando diverse sedute borsistiche, non ha più dubbi: ogni azione ha un prezzo medio e vi oscilla attorno secondo una volatilità descritta dalla varianza statistica. È il principio della finanza quantitativa, della quale Bachelier, un secolo dopo, è riconosciuto quale fondatore.
Come spesso accade tra le nuove vie percorribili, quella intrapresa dal primo esploratore porta a una destinazione diversa da quella immaginata. L’intuizione di un ordine matematico nel caos della finanza è corretta. Ma la scarsità di dati e i limiti tecnologici lo portano a una conclusione smentita dalla grande crisi del ‘29: in quel famoso martedì nero, i prezzi crollano all’impazzita e precipitano, in picchiata, su valori impossibili secondo le formule di Bachelier. Il mostro che si aggira nei meandri oscuri dei mercati aveva fatto capolino per la prima volta nella storia. Aveva il volto umano di una folla in preda al panico.
Fu evidente che un legame più profondo e a tratti oscuro univa l’osservatore ai fenomeni economici osservati. Se un’economia esiste, si compone del lavoro di persone che ascoltano e osservano, parlano e agiscono. E ogni atto influisce sul successivo. Una formula elaborata da mente umana non sta fuori della realtà. Al contrario, tale formula in modo imprevedibile, incide sull’evoluzione della realtà e ne è a sua volta, influenzata. Per comprendere meglio questo fenomeno studiato in un crocevia poco battuto tra fisica e filosofia, è necessario viaggiare in Siberia, più precisamente all’università di Novosibirsk. (continua)